Questa fu la seconda Caccia a cui partecipai, e probabilmente fu da qui che gli eventi cominciarono a mettersi in moto per molte persone, tra cui me medesimo.
Avrei dovuto capire cosa avrebbero portato quelle pagine dannate…

Venatio Seconda

Erano passati alcuni giorni dalle vicende del Sanatorio quando noi Cacciatori venimmo convocati d’urgenza in Piazza Grande, di mattina presto.
C’erano stati dei disordini nell’area di Capannori, ad est fuori dalle mura.
Venimmo divisi in tre gruppi per essere mandati in tre zone diverse di Lucca Fora(1) .
Quella a noi assegnata fu una torre di guardia in mezzo ai boschi della foresta di Picciorana.
Da qualche giorno non si avevano più notizie da laggiù, quindi la Repubblica decise di mandare noi a verificare la presenza di Abomini e nel caso affrontarli per portare in salvo i soldati di guardia.
“Sempre che ve ne siano ancora”, pensai.

Quella volta il mio gruppo fu composto da cinque persone. Quando dovemmo decidere il Capocaccia, Elderigo si propose e per quanto non apprezzassi avere un non-umano come Capocaccia, non mi opposi. Essendo un camminatore palustre(2) , la sua conoscenza della foreste di Lucca era quello di cui avremmo avuto bisogno quella volta.

Poi c’eravamo noi Mansi, io e il caro Pino… quanto mi manca adesso. Se al tempo i miei poteri di divinazione fossero stati forti come oggi, forse avrei potuto evitargli il destino che ha fatto. Purtroppo, in quel momento riuscivo a vedere solo dei frammenti di futuro, degli sprazzi più chiari in mezzo a una nebbia confusa.
Infine c’erano anche un paio di “Cacciatori” popolani. 
Carlotta e Amilcare credo fossero i loro nomi, ma potrei sbagliarmi, l’attenzione che ho verso i pezzenti è minima. “Non capisco come mai permettano a gente del genere di rivestire ruoli destinati a nobili” pensai.
Attraversammo a cavallo le due cerchie di mura fino al confine della foresta di Picciorana.
Dopo pochi minuti al suo interno trovammo, lungo la strada, un cavallo con bardature della Repubblica morto, al termine di una scia di sangue proveniente dal sentiero di fronte a noi, e una serie di impronte umane che deviava dal sentiero in direzione degli alberi. 
Lasciammo quindi i cavalli legati poco indietro lungo la strada e proseguimmo a piedi.
Le impronte ci condussero fino a una radura con una quercia gigantesca al centro. 
Tra le sue radici udimmo quelli che parevano respiri affannati e un clangore metallico molto familiare.
Si trattava di un soldato della Repubblica, ferito, ansimante e, cosa più importante – col corpo ormai mutato per metà.
Gamba e braccio sinistri erano ormai completamente deformi, avevano sfondato l’armatura dall’interno e la pelle era di colore marrone scuro. Su di lui c’erano varie ferite da taglio e da esse invece di sangue sgorgava un pus maleodorante. Anche l’occhio sinistro era completamente di colore giallo oro e si muoveva in modo forsennato, puntando tutte le direzioni.

Sfruttammo i suoi ultimi momenti di lucidità per chiedergli chi era e che cosa gli fosse successo.
Ci disse, alternando brevi frasi a gemiti di dolore, di essere un soldato di guardia alla torre, ma che la torre era stata attaccata da dei mostri e che lui era riuscito a fuggire mentre gli altri cercavano di barricarsi dentro.
Con le ultime forze ci implorò di andare a salvare i suoi compagni, dopodiché cessò di muoversi all’improvviso, come una marionetta a cui erano stati staccati i fili.
Piangemmo la sua scomparsa e poi bruciammo il suo cadavere, per evitare altre influenze da parte della Straordinaria Realtà su di lui.
Riprendendo il sentiero arrivammo in breve alla torre.
Il portone era sfondato e appena entrati vedemmo segni di battaglia ovunque al suo interno: armi, scudi, sedie, pergamene e pezzi di carta erano sparpagliati ovunque.
Sul pavimento c’erano numerose macchie di sangue, ma l’aspetto che ci colpì maggiormente non fu quello, ma che fosse estremamente gelido.
In fondo alla stanza c’era una scala a chiocciola, una rampa andava su, un’altra giù.
I nostri sensi ci suggerivano di dare un’occhiata al piano inferiore, ma il Capocaccia volle passare prima per quello superiore, per evitare di ritrovarci poi presi a metà strada in una morsa senza vie d’uscita.
Al piano di sopra c’erano solo il dormitorio dei soldati e la stanza del comandante, in cui trovammo un filtro curativo.

Non c’era nessuno lì quindi ci dirigemmo nel seminterrato, non prima però che il Capocaccia sparasse il razzo giallo da una finestra, per aggiornare i nostri compagni sulla prosecuzione della Caccia.
Al piano di sotto il freddo aumentava ad ogni passo, e così la tensione del gruppo. 
Arrivati in fondo ci trovammo in un corridoio in pietra con due porte sulla sinistra. L’aria era così fredda che sembrava di essere in pieno inverno, vedevamo addirittura il bianco dei nostri respiri illuminato dalle torce.
Aprimmo la prima porta sulla sinistra pronti a colpire qualsiasi cosa vi si fosse trovata oltre… ma era solo il deposito delle armi. 
Dove tra l’altro non c’era niente che valesse la pena usare. “Forse dovremmo sfruttare meglio i nani delle fucine di Lucca e far forgiare loro qualche arma più decente, altrimenti che senso ha permettere loro l’accesso alla nostra Città” pensai.
Giunti sulla soglia dell’altra porta il freddo era quasi insostenibile e sulle pareti si erano formati cristalli di ghiaccio. Persino la luce delle torce si affievolì a quella distanza. 

Da fuori sentimmo una lugubre cantilena: io avvicinai l’orecchio e capii che si trattava di una lingua eretica, anche Pino con un cenno mi fece intendere di averla riconosciuta. 
“Ci siamo” dissi agli altri e io, Pino e il Capocaccia facemmo irruzione aprendo di botto la porta.
Il freddo della stanza ci investì in pieno, mentre si palesò a noi una scena terribile.
Gli uomini della torre di guardia erano stati catturati e incatenati a una parete, e avevano numerosi tagli su tutto il corpo.
Al centro ci dava le spalle una sagoma vagamente umanoide ma dal collo molto allungato avvolta in una cappa, probabilmente un Abominio, e accanto a essa due figure di bassa statura, dei linchetti(3) .
Inoltre la parete verso cui erano rivolti era completamente ricoperta di pagine con sopra scritte insanguinate.
I nostri movimenti furono rallentati dal gelo e non appena si accorsero di noi, l’Abominio prese a ringhiare delle blasfemie, mentre le due figure più piccole ci lanciarono contro delle catene facendole spuntare dalle loro stesse carni.
Viscose e purulente si avvilupparono intorno ai nostri corpi, e finimmo per terra. 
Solo il Capocaccia riuscì a evitarle.
Mentre i nostri compagni ci stavano liberando l’Abominio prese ad agitare le mani artigliate e da esse iniziarono a emanarsi delle scintille, che si addensarono a poco a poco fino a formare una sfera di fuoco.
Con uno sforzo immane Amilcare e Carlotta riuscirono a trascinarci via dalla stanza e Amilcare chiuse la porta dietro di noi, appena prima che fosse colpita da un’enorme esplosione.
Tutta la parete vibrò violentemente, un fiotto di fiamme sprizzò dalla serratura fin quasi al muro opposto. Da dentro la stanza sentimmo alcuni dei soldati urlare dal dolore, probabilmente erano stati presi dalle fiamme. Erano urla di puro dolore cacciato a pieni polmoni, tale da scuotere il nostro animo e il nostro Nobile Sangue.
Fu troppo per il nostro Elderigo, che prese a correre verso le scale sconvolto, ma d’altronde un Maat può resistere fino a un certo punto…
Noi riaprimmo la porta, e da quella posizione iniziammo a bersagliare le creature di magie e frecce.
Il demone, vigliacco e codardo liberò allora i soldati dalla parete e li mandò contro di noi che, nostro malgrado, fummo costretti a combatterli.
Elderigo intanto arrivò alla base delle scale, e si fermò di colpo trovandosi la strada sbarrata.
In cima alle scale stava un altro gruppo di Cacciatori, attirato dal segnale arancione.
E qui fece la sua comparsa una persona che temo ricorrerà nei miei scritti più spesso di quanto vorrei.
Hecate Orsetti.
Una Cacciatrice la cui caratteristica più “sviluppata”, a dispetto di come possa apparire a prima vista, è il suo ego. Pochi erano stati gli Abomini in grado di resistere alla sua presenza, e pochi anche gli umani, ma per motivi diversi…
“Che stai facendo mostro?! Perché stai scappando?”
“Sotto! Catene!”
“Catene?? Cosa stai dicendo? Dai un senso alle tue parole!”
“CORRETE!”
Lasciando perdere i suoi discorsi si rivolse a noi dal fondo del corridoio: “Plebei! I nobili sono venuti ad aiutarvi!”
“Ehi, plebei a chi?! Guarda che io sono un Mansi!”, rispose Pino.
Lei lo fissò come se si trattasse di uno scarafaggio e aggiunse… “‘plebei’, appunto…”, e passò oltre senza degnarlo di ulteriori attenzioni per unirsi alla lotta.
La battaglia infuriò sempre di più. Collaborando tra noi uccidemmo i servi del demone e i soldati che stava manovrando, ma l’orrore non volle saperne di spirare.
Almeno fino a che Pino, con la sua balestra, riuscì a colpirlo dritto in un occhio, piantandogli tutto il dardo nel cranio.
La sua figura cadde in ginocchio ringhiando di dolore e ancora bersagliata dai dardi di fuoco prese a carbonizzarsi, fino a diventare un mucchio polvere scura.
Con la sua morte anche il freddo nella stanza scomparve.
Debellata la minaccia i gruppi tirarono un sospiro di sollievo e mentre gli altri si misero a curare i feriti io passai ad analizzare la parete della stanza tappezzata di pagine.
Erano di varie forme e dimensioni con sopra parole blasfeme scritte col sangue, indecifrabili per i nostri compagni, ma io e Pino, grazie alle conoscenze di Famiglia riuscimmo a leggerle.
Osservando da più vicino notai anche che le pagine erano fatte in pelle umana, trattata e appesa.
“Hanno usato dei soldati per eseguire riti profani, maledetti orrori…” disse il capocaccia.
Io intanto leggevo, le pagine parlavano di una sorta di accadimento, una profezia sulla fine del genere umano.
“Terra e pietra… Fuoco e sangue… Scaglie e artigli.” queste erano le parti più ricorrenti.
Mentre cercavo di dare un senso a quei versi sgrammaticati sentii un colpo di pistola.
Hecate era andata fuori a sparare il dardo viola.
La caccia era finita, e dopo aver bruciato i cadaveri dei soldati le squadre tornarono a Lucca.
Arrivati in Piazza Grande i Capicaccia fecero rapporto al Gonfaloniere Mansueto Mansi su cosa era successo nei vari obiettivi, mentre Pino si diresse presso il dogma per conferire con un Inquisitore riguardo alle pagine blasfeme e consegnargliele.
Si concluse così la Caccia nella foresta di Picciorana.

(1) “Lucca Fora”, secondo il vernacolo Lucchese, è la definizione con cui i lucchesi intendono i dintorni di Lucca, quartieri e campagne che si estendono al di fuori delle mura urbane, mentre con “Lucca Drento” si intende il centro storico della Città circondato dalle mura interne.

(2) Background Maat: (Non nobile, Riservata ai non umani, tranne gli elfi)
I Maat sono non umani che hanno vissuto nelle terre all’esterno delle città. Nel caso di Lucca vengono anche chiamati i camminatori palustri. Molto spesso sono ricercati dalle Famiglie Nobili come guide di Caccia e unite a Cacciatori ben più Nobili di loro per far sì che sopravvivano.

(3) Gnomi Alias Linchetti:
Gli gnomi, chiamati Linchetti, in terra di Lucca sono visti peggio dei mezz’orchi. Innumerevoli leggende parlano del linchetto come di una creatura dispettosa, malevola, che infesta le foreste e i campi. Tali leggende hanno trovato corrispondenza nella figura degli Gnomi. Nella città i Linchetti sono pochi, non hanno lavoro e sono ladri e truffatori. Nessun cittadino umano si fiderebbe mai di un Linchetto.  

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