DISCLAIMER: Codex Venator è una campagna condivisa per Dungeons & Dragons 5° Edizione, creata da Andrea Lucca, Alex Melluso ed Enrico Romeo. L’ambientazione tratta temi quali razzismo; misoginia; violenza esplicita; estremismo religioso; esperimenti su creature viventi; abuso di potere; limitazioni alla libertà personale e occultismo. Non si tratta di un’ambientazione dalle tematiche leggere e, per questo motivo, è bene che la lettura sia riservata ad un pubblico adulto.
In nessun caso gli autori di questi racconti, delle avventure di Codex Venator o di altro materiale da esso derivato intendono appoggiare o giustificare comportamenti illegali e lesivi della dignità delle persone.
L’Ordo Fabularis ringrazia la Magister Sermonis Alice Gritti per aver scritto il racconto.

Lo scrivano si fece strada nella biblioteca, camminando titubante con i suoi effetti al seguito. Fin dal giorno in cui il pavimento era crollato, richiedendo l’intervento dei Nobili Cacciatori di Milano, pochi avevano avuto il permesso di mettere piede in quell’ala dell’edificio. Tuttavia vi erano importanti tomi che, purtroppo, erano andati danneggiati. Era nell’interesse dello scrivano trascrivere le informazioni di quei testi, per evitare che la mancanza di informazioni portasse a ripetere gli errori del passato. In particolare, l’uomo che si muoveva tra gli scaffali cercava la storia di un Cacciatore che un tempo aveva guidato una delle Famiglie della Città. Le informazioni che aveva raccolto su di lui avevano attirato la sua curiosità, spingendolo a cercare di più.
Lo scrivano trovò il tomo dopo una lunga ricerca, e si mise a sedere alla luce di una singola candela. Quando posò l’antico testo sul leggio, una nube di polvere si alzò, costringendolo a distogliere il viso per non tossire sulle sue pagine. L’ansioso lettore si leccò la punta dell’indice e cominciò a voltare le pagine fino a raggiungere il capitolo desiderato. Avvicinando di più la candela, lo scrivano riuscì a scorgere il nome che cercava: Leandro Della Torre.

Il vapore si alzò dall’acqua calda della vasca, andando ad alimentare la leggera nebbia che faceva appannare gli specchi. La stanza era silenziosa e tutto appariva immobile al suo interno. Immerso nel calore ristoratore del suo bagno, Leandro Della Torre cercava di tornare lucido dopo l’incubo che lo aveva scosso.Richiamare con la mente i dettagli di quel sogno bastava a fargli salire i brividi lungo la schiena, seguiti da vampate di calore. Per una persona pragmatica come lui, più dedita a tirare le fila delle azioni altrui che a leggere di filosofia, quel sogno non poteva che nascondere un monito. Leandro conosceva persone che, di fronte ad un simile evento, avrebbero immaginato di star correndo un pericolo. Lui non era una di quelle anime deboli. Cacciando dalla sua mente l’inquietudine provocata dai suoi sogni, Leandro si alzò e uscì dalla vasca. Avvolse il corpo in un telo e, con un gesto della mano, tolse l’umidità che gli impediva di vedersi allo specchio. Gli occhi scuri che gli restituirono lo sguardo migliorarono il suo umore. Non era diventato un abominio come Martino, lui non avrebbe seguito le sue ricerche fino a perdere se stesso. Leandro era ancora un essere umano, alto e con un corpo che sembrava non esser stato scalfito dalle molte battaglie. Se avesse avuto tempo per queste distrazioni, probabilmente le donne avrebbero definito il suo corpo perfetto per la danza.

Terminato di asciugarsi, Leandro indossò una camicia pulita e si preparò per l’imminente giornata. Martino Della Torre aveva gettato discredito sulla loro Famiglia facendosi scoprire come abominio, e il fardello del comando era passato dalle sue spalle a quelle di Leandro. Poche cose lo avevano irritato tanto quanto dover assumere il ruolo di Capofamiglia. Esporsi in quel modo, in una Milano dove le teste cadevano come frutti dagli alberi, lo rendeva nervoso. Si era ritagliato un ruolo dietro le quinte, prima che le ricerche avventate di Martino lo condannassero, e aveva dovuto abbandonarlo per diventare un potenziale bersaglio. Cosa gli impediva di incontrare un destino peggiore del suo?

Lo scrivano voltò le pagine, sempre più interessato a ciò che scopriva sul Capofamiglia Della Torre. I rapporti ufficiali dicevano poco o nulla di lui, eppure le storie migliori si nascondevano sotto i silenzi più serrati. Era quasi curioso di scoprire chi avesse scritto quelle informazioni e dove le avesse scoperte. Forse l’autore conosceva Leandro? Forse aveva avuto una fonte affidabile su chi fosse?

Leandro era in ginocchio davanti al Supremo Inquisitore di Milano, ad attendere il destino della sua Famiglia. Drappi gialli adornavano le pareti attorno a lui, segno dell’immensa gloria del Dogma. L’uomo che pretendeva la sua obbedienza, tronfio nella sua sicurezza, era una creatura pericolosa, infida e senza scrupoli. Venir convocati non era una buona notizia, specialmente non per lui. Avrebbe dovuto soppesare le parole più di un poeta per non finire sul rogo, insieme a tutti i Della Torre.Fortunatamente per lui, il Supremo Inquisitore non era pronto a sbarazzarsi di una risorsa come Leandro. Forse non aveva la curiosità di Martino e forse sarebbe stato dichiarato eretico in un secondo momento, tuttavia al Dogma non interessavano i curiosi, bensì le persone determinate. Quale miglior modo, per un membro dell’Inquisizione, di dare uno scopo ad una persona che minacciare di bruciare lui e la sua Famiglia? I suoi compiti sarebbero stati pochi, ma per nulla semplici. Un aasimar viveva nella Città di Milano e, drammaticamente, aveva deciso di votare la propria sacralità all’Impero. Ovviamente il Dogma non poteva accettare un simile affronto. Sarebbe stato “privilegio” di Leandro condurre l’aasimar nella sua giusta casa tra i guelfi.Se il primo incarico poteva essere svolto con l’eloquenza, il secondo avrebbe richiesto molto di più. Era tempo che la Famiglia Lurani si votasse al Dogma e quale miglior agente per questa “conversione” che non Leandro? Sembrava che il Supremo Inquisitore cercasse solo un pretesto o una scusa per ucciderlo, dandogli ardui compiti nella speranza di vederlo fallire.

Quando Leandro si congedò da quell’incontro, dando le spalle al Supremo Inquisitore, due nuovi fardelli gravavano sulle sue spalle.

Lo scrivano stava divorando le pagine di quel tomo, senza concedersi alcun riposo. Non aveva ancora trascritto una parola e gli occhi cominciavano a dolergli. Da quante ore si trovava chinato a leggere? Era insolito che non avesse visto passare nessuno o che qualcuno non fosse giunto a disturbarlo. Poco male, si sarebbe dedicato con più dedizione alla sua lettura. Percepiva chiaramente l’urgenza di continuare, di sapere di più su Leandro.

Leandro Della Torre si era inginocchiato davanti a Ivana Lurani, per chiederla in sposa. La Cacciatrice, che lui aveva inizialmente considerato solo una pedina da muovere a suo piacimento, lo aveva infine portato a proporre un matrimonio.
Il “Sì” di Ivana non era stata che l’ultima mossa di una lunga partita a scacchi tra due menti. Come per tutti gli scontri degni di essere combattuti, entrambi avevano imparato qualcosa dall’altro. Leandro aveva trovato in Ivana una preziosa alleata.
Dei due compiti che gli aveva affidato il Supremo Inquisitore, almeno fino a quel momento, sembrava che condurre i Lurani a votarsi al Dogma sarebbe stato il più piacevole. Certo, Leandro si sarebbe nuovamente dovuto spendere in prima persona, dopo il patto che aveva fatto con l’aasimar, ma era certo di poter sfruttare la situazione a suo vantaggio. Il rituale per gli occhi sarebbe stato ampiamente superato dal matrimonio con Ivana, che avrebbe unito le due Famiglie pur lasciandole indipendenti. Questa era stata la principale preoccupazione della Capofamiglia Lurani, timorosa di vedere un giorno la sua Famiglia sottomessa agli interessi dei Della Torre.

Un solo ostacolo si frapponeva alla loro unione in quel momento: Ivana aveva già un marito. Pareva che la Cacciatrice si fosse unita in un matrimonio non riconosciuto dal Dogma e dall’Innominato. Spettava a Leandro, insieme alla sua futura moglie, porre rimedio a questo increscioso problema. Il Supremo Inquisitore chiese, in cambio dell’annullamento, il primogenito della futura coppia, e loro accettarono senza riserve.

Lo scrivano chiuse gli occhi dal dolore. All’improvviso, una fitta lo aveva costretto a smettere di leggere. Era la sensazione di una spina, conficcata dolorosamente nella sua testa. Forse aveva sforzato troppo gli occhi, forse aveva letto troppo. Si costrinse a continuare il suo lavoro ma, davanti al suo sguardo, le lettere cominciarono a diventare imprecise. Notò in quel momento la candela, ormai in procinto di esaurirsi. Doveva essere lì da ore. Era necessario fare una pausa perché, in ogni caso, di lì a poco sarebbe rimasto senza luce.
La fiamma morì nel momento in cui distolse lo sguardo. E nel buio, nessuno lo vide sparire.

Il fuoco sotto la vasca da bagno aveva portato la temperatura dell’acqua al punto in cui la voleva Leandro. Da qualche tempo a questa parte, aveva preso l’abitudine di non spegnere le fiamme neanche mentre si stava lavando. Erano cambiate molte cose da quando, a palazzo Della Torre, cercava di rilassarsi nel piacere dell’acqua calda.
Il suo matrimonio con Ivana Lurani era stato… rimandato a data da destinarsi, dopo la resurrezione “fallimentare” di Leandro durante una delle ultime Cacce, e prima della lotta contro il Tarantasio. L’invasione di Milano da parte degli abomini e della sua futura moglie aveva cambiato le carte in tavola e, ancora prima di quel giorno, Leandro si era trovato in un corpo diverso dal proprio, una via di mezzo tra un umano e un abominio. Certo, aveva mantenuto la sua identità e aveva ancora qualche trucchetto che potesse permettergli di spacciarsi per un essere umano, ma perché negare che quella nuova forma avesse i suoi vantaggi? Aveva servito i Della Torre per tutta la vita e tutto quello che aveva ottenuto erano incarichi su incarichi, con la sua testa sempre sul piatto della bilancia. La sua nuova esistenza come ambasciatore aveva i suoi lati positivi. Le informazioni, in un modo o nell’altro, passavano tutte da lui.
Si raccolse i capelli con la coda e si preparò ad alzarsi. Ad uno schiocco di dita, le sue servitrici giunsero con dei teli, affinché potessero asciugare il suo corpo prima ancora che avesse fatto pochi passi lontano dalla vasca. Fece loro cenno di dedicarsi soltanto ai capelli mentre lui, uscendo dal bagno e sedendosi davanti ad uno specchio, finalmente poteva dedicarsi al suo viso. Un tempo si sarebbe preoccupato ma, in quel momento, il volto della tiefling che ricambiava il suo sguardo allo specchio non lo turbò minimamente. Un giorno sarebbe tornato a Milano, perché sicuramente lui non aveva ancora finito con la Città, ma fino a quel giorno, perché non godersi il fatto di non avere più fardelli sulle spalle?

Gli studiosi del Dogma cercarono lo scrivano per ore oltre il calar del sole. Senza illuminazione, quei corridoi si trasformavano in autentici labirinti. Sarebbe stato semplice terminare le ricerche il giorno successivo ma la scomparsa di uno scrivano, vincolato a fare rapporto dopo aver consultato tomi proibiti, rendeva l’indagine obbligatoria e immediata.

Quando alla fine giunsero al leggio che, inspiegabilmente, aveva un libro aperto e nessuno a sfogliarlo, trovarono il nome dello scrivano a firma delle pagine su Leandro Della Torre.

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